Fotografia come racconto
Mi chiedo in quali diversi modi Giulio Conti risponderebbe alla domanda: “Cos’è la fotografia per lui?” Molti anni fa, agli inizi degli anni settanta, quando ebbi l’occasione di conoscerlo personalmente, ritengo che avrebbe risposto: “ La fotografia è osservare la realtà per raccontarla agli altri”. Oggi, sono convinto, risponderebbe con le stesse parole, aggiungendo una o mille sfumature, includendo interessi espressivi, che in lui si sono cumulati, come ad esempio: caricare un’immagine di significati.
È in particolare nelle fotografie singole, a sé stanti, che si nota questa caratteristica che è poi quella della fotografia di reportage e, per l’appunto, del reportage “concerned”, quello per intenderci comune ai fotografi per vocazione e per impegno sociale, da Hine a Evans, da Lange ai Berengo Gardin a Koudelka di ohi. Così le fotografie di Conti hanno un titolo che non è necessario leggere in didascalia, ma che esce dalla lettura dei segni racchiusi nei bordi.
In “Immagini del tempo”, un suo libro fotografico di alcuni anni fa, il comune denominatore di ogni immagine sembra essere la solitudine della figura umana in qualsiasi ambiente si trovi. Esiste in Conti questo gusto per l’ambientazione, che è precisione descrittiva, ma anche necessità di caratterizzare l’individuo, attraverso ciò che lo circonda e l’atteggiamento che tiene. È il far confluire tanti particolari dentro un insieme per formarne il significato voluto.
Fotografare è certamente selezionare. Si può scegliere un’inquadratura e si può selezionare un avvenimento, una situazione, un evento, scandagliandolo nella forma, nel tempo, nel contesto. Il tempo, come dimensione a senso unico, consente la sequenza. È questo il passaggio dalla fotografia singola al racconto. Il passaggio da quel libro di singole situazioni a questo di brevi racconti fotografici. Conti, nell’analisi che fa di se stesso, si definisce un narratore. In queste pagine riepiloga parte delle sue esperienze, la sua concezione dell’immagine, dimostra il suo intuito nello scoprire un tema da svolgere, offerto dalla realtà. La realtà è imprevedibile, ostica, quasi sempre irregistrabile, ma una macchina fotografica può acquisirla e ordinarla parola dopo parola, fotografia dopo fotografia, per farne un racconto visivo.
La collaborazione tra fotografo e scrittore è tipica di molti lavori di Conti. Da questi accostamenti sono uscite corpose pubblicazioni monografiche, quali ad esempio: “Le sontuose pietre” assieme ad Aldo Indelicato e “Sicilia i luoghi e gli uomini” con Giuseppe Campioni ed Emanuele Sgroi. Chiaro che il reportage di Conti sente l’attrattiva dell’architettura e dei segni stabili lasciati dall’uomo. Penna e macchina fotografica penetrano più a fondo negli argomenti, si compensano e si completano. Anche nei racconti brevi di quattro, cinque immagini, che illustrano questa monografia, l’autore ha sentito il bisogno di offrire una chiave di lettura, un’apertura alle immagini, un’interpretazione autentica, anche se fatta attraverso l’introspezione di Marietta Salvo. L’autore, in questo modo, provoca una partecipazione più attiva da parte di chi osserva.
Conti si ritiene un autodidatta, ma i rapporti con il mondo variegato e complesso della fotografia amatoriale italiana ed estera non gli sono mancati. È un bianconerista, ma il colore gli ha dato le stesse soddisfazioni nell’ambito della FIAF. La sua filosofia di circolo è “fare insieme”, ovvero produrre ciò che il singolo non può produrre.
È forse per dare forma alle sue idee che nell’epoca dei suoi inizi contribuì alla fondazione di molti circoli in Sicilia e Calabria. Era quello un periodo di fulgore del “reportage e del racconto fotografico” nel quale, per mezzo di importanti mostre tra le quali Fermo, Gallarate, Savona e Bergamo, si sono formate alcune valide individualità. Quel tipo di fotografia, che trovò spazio fino dai secondi anni Trenta in rotocalchi innovativi per spazio e qualità di immagini, quali “Life” e, in Italia, “Tempo”, è sempre stato in contenzioso tra “documento” e “testimonianza”. Forse il fotoreportage non ha mai dimostrato verità incontrovertibili, mentre, per certi aspetti etici, è sempre rientrato nella dimensione della testimonianza. Ciò che è essenziale, quindi, non è la verità, ma la sua interpretazione. Con i suoi temi e le sue ricerche, nell’ambito delle proprie idee e convinzioni, Giulio Conti non contraddice questa concezione del raccontare per immagini. (Giorgio Tani, Presidente FIAF)
da Giulio Conti, Monografie FIAF, 1998